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Quanto durano le scarpe da running?

La durata delle scarpe da running è un elemento alquanto variabile. Dipende infatti dalle caratteristiche individuali, dal tipo di impatto, dalla distribuzione del carico, dall’usura, eccetera.

Se volete sapere quanto durano le scarpe da running dovete innanzitutto verificare che non risultino storte. Per farlo, mettetele entrambe affiancate su un tavolo e osservatele da dietro. Se si nota una deformazione e l’intersuola è schiacciata (in particolare nella zona mediale) anche di pochi millimetri quelle scarpe vanno rottamate.

Se infatti il tendine d’Achille si trova a lavorare fuori asse subisce sollecitazioni innaturali, con possibili pericolose ripercussioni. Nella corsa l’estrema ripetitività dei movimenti si traduce inevitabilmente in un’estrema ripetitività anche delle sollecitazioni meccaniche che agiscono sul fisico a ogni impatto sul terreno. Proprio questo martellamento prolungato e costante, spesso senza varianti, può portare al verificarsi di fenomeni di usura classificabili come infortuni da stress.

Importante: una compressione limitata al solo bordo laterale posteriore (all’esterno) dell’intersuola rientra invece nella norma e non deve preoccupare.

Non credo sia azzardato ipotizzare una correlazione con l’uso di scarpe inadeguate fra le diverse cause degli infortuni frequenti fra i podisti.

Per capire quanto durano le scarpe da running dobbiamo tenere presente che le scarpe tecniche possono avere resistenza e durata diverse. Di solito quelle da trail, le stabili e spesso anche quelle a massima ammortizzazione posseggono una buona resistenza che, invece, non si può pretendere dalle leggerissime scarpe da gara.

Come per altri prodotti industriali, la durata di ogni calzatura è data dalla sommatoria della resistenza dei suoi diversi componenti (quali la suola o l’intersuola), che quindi dovrebbero sempre essere progettati per una durevolezza omogenea. In particolare il fattore di gran lunga più importante è la durata dell’ammortizzazione, sempre fondamentale per la sicurezza.

Non è purtroppo possibile determinare con certezza la durata utile di un’intersuola. Interagiscono tra loro molte varianti sia soggettive (la massa del runner, le sue caratteristiche biomeccaniche, la congruità delle scarpe usate, le superfici su cui corre, la possibilità che si verifichino o meno variazioni eccetera) che oggettive (gli ingredienti e le specifiche di produzione del materiale, la combinazione con diverse suole o con eventuali inserti o supporti integrati, la frequenza, la temperatura di esercizio eccetera).

L’ammortizzazione è la caratteristica più importante delle scarpe da running. È quella che, oltre a determinare il comfort, riduce il rischio di traumi potenzialmente insito nel gesto motorio ripetuto. Durante la corsa è infatti fondamentale decelerare l’impatto smorzando i picchi di carico, ovvero forze elevate applicate in un tempo molto breve (millisecondi). In pratica si è capito che è utile modificare l’energia d’urto, spalmandola in forma di forze inferiori applicate per un tempo più lungo.

A ogni impatto la pressione del piede (cui si sommano anche le risultanti della reazione al terreno) comprime direttamente l’intersuola. Quando tale pressione cessa l’energia elastica accumulata durante la compressione viene restituita, riportando il materiale alla dimensione originale. Una sua buona percentuale è invece dissipata sotto forma di calore (ad esempio un 25- 30%). Questo ha una grande importanza, poiché il calore che si accumula all’interno dell’intersuola durante l’attività determina una progressiva riduzione sia della sua efficienza sia della sua capacità di ammortizzazione.

Svariati test hanno dimostrato che nell’arco dei primi 200 km può avvenire un degrado abbastanza significativo. Anzi, anche di recente ho verificato che può essere percepita una certa perdita di elasticità addirittura entro i primi 100 km di uso.

Ben prima che l’ammortizzazione si riduca in modo significativo, l’intersuola inizia a manifestare una riduzione di elasticità, cui poi si accompagna più lentamente anche un’ammortizzazione inferiore.

Dalla scienza dei materiali sappiamo che, per prevenire rotture e perché possa raggiungere senza danni la durata prevista, qualsiasi oggetto non dovrebbe mai essere sottoposto a sollecitazioni eccessive.

I componenti stampati con un materiale elastomerico espanso – come appunto le intersuole – non dovrebbero mai essere compressi oltre il 25% del loro spessore originale. Inoltre, se un dato componente subisce un’elevata frequenza di stimoli, al fine di massimizzarne la durata la compressione ammessa dovrebbe essere ulteriormente ridotta. Non a caso la scarsa considerazione di queste nozioni basilari può portare a una considerevole riduzione dell’ammortizzazione dell’intersuola, che può avvenire piuttosto in fretta.

A chi si allena quotidianamente e soprattutto a chi effettua più sessioni nello stesso giorno è decisamente consigliabile l’utilizzo di due paia di scarpe: uno per l’allenamento mattutino e un altro per quello pomeridiano.

Come ogni materiale e manufatto, anche le scarpe da running quando rimangono nella scatola per un certo tempo sono soggette a invecchiamento. Avviene un certo degrado dell’intersuola dovuto a vari fattori ambientali (caldo, freddo e umidità), nonché alla possibile interazione con eventuali prodotti chimici.

Indicativamente pressioni più omogenee, sollecitando meno il materiale, lo logorano meno di quanto possano fare pressioni più concentrate. Quelle con una suola con un’ampia superficie di contatto, specie se in materiale espanso, tendono a preservare più a lungo le caratteristiche utili dell’intersuola.

Risulta utile tenere conto dei chilometri percorsi con ciascun paio, oltre a ispezionarlo di tanto in tanto e ad allenarsi a percepire eventuali variazioni. Bisogna prendere atto che la reattività delle scarpe può incominciare a ridursi già prima di 100 km. A seconda del tipo di calzatura e di altre variabili, la durata utile dell’intersuola può mutare in un ambito parecchio ampio. Il range è probabilmente compreso fra i 200-300 km, per arrivare a tendere, nei casi migliori, verso i 1.000 km.

Fonte: Correre.it